L’ideologia nazista può essere considerata come emblema dell’intolleranza, manifestatasi contro quelle categorie che secondo la teoria hitleriana avrebbero rovinato la purezza ariana della società tedesca. È infatti tristemente nota la barbarie consumatasi nel corso della seconda guerra mondiale nei campi di concentramento voluti dalla Germania nazista. Diversi sono i musei e i memoriali che ricordano le vittime della tragedia della Shoah, ma le pietre d’inciampo rappresentano di certo una particolare iniziativa di arte urbana che incontra la memoria storica, dando origine ad un museo a cielo aperto.
Le pietre d’inciampo, o Stolpersteine nella versione originale in tedesco, costituiscono una vera e propria opera d’arte diffusa su gran parte del tessuto urbanistico europeo, poiché si tratta di veri e propri sampietrini ricoperti da una piastra d’ottone sulla quale sono incisi non solo il nome e la data di nascita della persona a cui sono dedicate, ma anche la data ed il luogo del suo decesso. Infatti, lo scopo di queste pietre, è proprio quello di ricordare tutte le vittime dell’Olocausto, indipendentemente dall’etnia o dalla religione, dedicando loro una piccola parte di terreno appena al di fuori delle loro ultime abitazioni poco prima di essere deportati. L’ideatore di questo progetto è un artista tedesco di nome Gunter Demnig, che, a partire dal 1992, ha provveduto ad installare all’incirca 50.000 pietre d’inciampo in quasi tutti i Paesi europei che durante la seconda guerra mondiale furono occupati dal regime nazista e anche in Svizzera, Finlandia e Spagna. Lo scopo dell’iniziativa è quello di ridare individualità, attraverso i dati riportati sulla piastra, a tutti coloro che furono ridotti ad un semplice numero. Per questo l’espressione “d’inciampo” non ha un significato fisico, bensì visivo e mentale, poiché porta a riflettere anche chi si imbatte in modo del tutto casuale in una di queste pietre. Alcune pietre d’inciampo sono state collocate anche in Italia e noi abbiamo avuto la fortuna di poterne ammirare all’incirca una trentina a Roma, durante un viaggio estivo nella capitale. Sicuramente come molti altri turisti, anche noi siamo “inciampate” in modo del tutto casuale su queste pietre, ma esse hanno subito catturato la nostra attenzione, tant’è che una volta tornate a casa abbiamo cercato su internet qualche informazione sulle vittime che risiedevano in via della Madonna dei Monti, luogo di collocazione delle targhette. Con grande sorpresa abbiamo scoperto che una pietra era dedicata ad una delle più giovani vittime dell’eccidio alle Fosse Ardeatine, Franco Di Consiglio, un giovane macellaio ebreo fucilato all’età di soli 17 anni per motivi razziali. Le pietre d’inciampo sono state, tuttavia, anche oggetto di numerose polemiche da parte di alcuni esponenti della comunità ebraica. Charlotte Knobloch, la presidente della comunità ebraica di Monaco e dell’Alta Baviera, si batte dal 2004 per confinare le Stolpersteine alle abitazioni private, ritenendole offensive in quanto «possono essere bersaglio di sputi, sporcizia, graffi, escrementi animali o essere oggetto di gesti offensivi». Inoltre, Knobloch ritiene che le vittime andrebbero ricordate e non calpestate. Anche Daniel Killy, capo della comunità ebraica di Amburgo, si schiera contro le creazioni di Denmig, accusando quest’ultimo di aver lucrato sulla morte di milioni di persone. Al contrario, il presidente della comunità ebraica Josef Schuster difende le pietre d’inciampo e si dichiara in disaccordo con la scelta della comunità monachese. Ovviamente ognuno può dare la propria interpretazione a queste originali opere d’arte che mirano a mantenere il ricordo di tutti i deportati nei campi di concentramento. A nostro parere, l’“inciampo emotivo” in queste piccole pietre può contribuire a tenere viva la memoria delle vittime del nazismo, invitando tutti noi che “viviamo sicuri nelle nostre tiepide case e tornando a casa a sera troviamo cibo caldo e visi amici” (Primo Levi) ad una riflessione, proprio come è successo a noi a Roma. Anche nel piccolissimo paesino di Premolo, nell’alta Valle Seriana, l’artista tedesco Gunter Demnig ha realizzato una pietra d’inciampo, l’unica di tutta la Bergamasca. Il 17 gennaio 2016 l’artista si è direttamente recato in loco per dedicare a don Antonio Seghezzi il suo “quadrato di ottone”. Don Seghezzi nacque a Premolo nel 1906 e nel 1935, a soli 29 anni, fu inviato come cappellano militare in Eritrea; congedato dopo due anni, ritornò a Bergamo, dove divenne un punto di riferimento per la gioventù dell’Azione Cattolica. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, Don Seghezzi si impegnò ad aiutare a fuggire i ragazzi della Resistenza, garantendo loro, sia spiritualmente, sia concretamente, un’enorme assistenza. I nazifascisti lo scoprirono e dal 25 ottobre, cominciò ad essere ricercato. Non trovandolo, i nazifascisti organizzarono una rappresaglia contro l’Azione Cattolica e la Chiesa di Bergamo; alla luce di quest’infausta situazione, don Seghezzi decise di consegnarsi liberamente, fu immediatamente deportato e rinchiuso nel carcere di Monaco Di Baviera. Dopo essere stato trasferito nel campo di lavoro di Klashelm, fu nuovamente trasferito a Lessingen, dove iniziò a manifestare l'emottisi (una malattia polmonare). Morì nel 1945, a causa di questa sua malattia, nell’ospedale da campo di Dachau. Il 27 gennaio 2020, giornata della memoria, il consiglio comunale di Bergamo ha votato unanime per collocare ulteriori pietre d’inciampo, al fine di ricordare le vittime dell’olocausto. Shari Brignoli, Ambra Roggerini e Valeria Zanotti
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