Uno dei casi più eclatanti di intolleranza tra due popoli, che persiste fino ai nostri giorni, è costituito dal conflitto israelo-palestinese. Le premesse del conflitto possono riscontrarsi a partire dagli anni Venti del Novecento quando, dopo il trattato di Sèvres che sancì la spartizione del Levante ottomano tra Gran Bretagna e Francia, nella regione palestinese cominciò a verificarsi un flusso migratorio proveniente dall’Europa di tutte quelle minoranze ebree che si erano stanziate nel continente a seguito della diaspora. Infatti, nell’arco dei tre lustri che vanno dal 1924 al 1939, si instaurarono nella regione circa 250.000 persone di fede ebraica. Ciò fu reso possibile grazie alla cosiddetta “Dichiarazione di Balfour”, la quale sanciva la possibilità per gli ebrei di ritornare ad abitare la cosiddetta “Terra Promessa”. In seguito si verificarono forti tensioni tra la popolazione palestinese e gli immigrati, in quanto la popolazione araba si sentiva minacciata dalla costante immigrazione di ebrei sul loro territorio. Uno degli episodi più cruenti fu la rivolta araba del 1929, la quale nacque a causa dell’apertura del Muro del Pianto agli ebrei in quanto, essendo un luogo sacro per l’islam, i palestinesi ritennero oltraggiante il fatto che gli ebrei potessero accedervi. Questa rivolta portò alla morte di circa 166 palestinesi e 113 ebrei. Gli attriti tra i due popoli peggiorarono con la nascita ufficiale dello Stato di Israele nel 1948, in quanto subito dopo si combatté la prima guerra dal 1948 al 1949. Inoltre per tutto il corso della seconda metà del 1900 Israele intraprese ben due conflitti contro i suoi vicini arabi: la “guerra dei sei giorni” del 1967 e la “guerra dello Yom Kippur” del 1973. Ai giorni nostri il conflitto israelo-palestinese continua a persistere con il cosiddetto “conflitto di Gaza’’, il quale cominciò nel 2005 quando Hamas, sconfiggendo l’altro partito palestinese Fatah, in due anni prese il pieno controllo militare della regione. Negli anni sono state proposte molte possibili soluzioni per la risoluzione di questo sanguinoso conflitto. Una delle proposte più recenti è stata fornita dall’opinionista politico americano Ben Shapiro, il quale ha proposto la rilocazione forzata degli arabi palestinesi all’esterno di tutto il territorio israeliano. Tuttavia l’attuazione di questo progetto non tiene conto della parte palestinese, la quale si troverebbe senza più una patria, proprio come capitò al popolo ebraico a seguito della conquista romana di Gerusalemme nel 74 d.C. e questo, oltre a essere una risoluzione dai forti caratteri intolleranti verso il popolo palestinese, potrebbe ulteriormente alimentare sentimenti anti-israeliani nei paesi arabi. Un’altra proposta prevede di dividere la regione della Palestina in due Stati, uno arabo e uno israeliano. Sebbene questa proposta costituisca la soluzione più ragionevole e pratica da un punto di vista geopolitico, essa è tuttora inattuabile per via del continuo sorgere di colonie ebraiche nei territori palestinesi, strategia promossa dal governo di Tel Aviv per acquisire sempre più territorio, che dà luogo a scontri di frontiera con il pretesto di acquisire il controllo delle terre abitate dagli ebrei. Ciò nonostante l’ONU ha fermamente condannato questa pratica, dichiarandola priva di ogni intento per una risoluzione diplomatica della situazione. Un’ultima soluzione potrebbe essere la formazione di un unico stato Israelo-Palestinese, guidato da un regime di governo parlamentare. Il parlamento poi dovrebbe essere formato da un pari numero di deputati israeliani e palestinesi, al fine di garantire gli interessi di entrambe le etnie nelle decisioni di carattere politico, giuridico e sociale. Inoltre un ruolo fondamentale dovrebbe essere giocato dalla stesura di una Costituzione, la quale dovrebbe avere tra i principi fondamentali quello della tolleranza sia su sfondo religioso, sia su sfondo etnico. Sebbene questa soluzione sia la più utopica tra le tre proposte, la sua attuazione sarebbe una dimostrazione lampante della capacità umana di tollerare il prossimo e di risolvere questioni anche spinose attraverso il dibattito civile e democratico.
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LIVING CONDITIONS About 22% of America’s 5.2 million Native Americans live on tribal lands. Living conditions on the reservations have been cited as "comparable to Third World". It is impossible to describe the many factors that have contributed to the challenges that Native Americans face today, but the following facts about the most pressing issues of housing, health,and unemployment give a hint of what life is like for many first Americans.
While formal equality has been legally granted, American Indians, Alaska Natives, Native Hawaiians, and Pacific Islanders remain among the most economically disadvantaged groups in the country and suffer from high levels of alcoholism and suicide.
In addition, many American Indians are living in substandard housing. About 40% of on-reservation housing is considered inadequate. The waiting list for tribal housing is long and overcrowding is inevitable. Most families will not turn away family members or anyone who needs a place to stay. It is not uncommon for 3 to 4 generations to live in a two-bedroom home. Further diminishing the quality of reservation housing is the noticeable absence of utilities. While most Americans take running water, telephones, and electricity for granted, many reservation families live without these luxuries. This increases the potential for health risk, especially in the more isolated areas.
The IHS is underfunded and many of the local IHS facilities lack the basic amenities to provide quality and excellent healthcare services. Mostly the local IHS facilities are distant from the Native Americans. It makes it a grueling process for the locals to access the facility. American Indians and Alaska Natives born today have a life expectancy that is 5.5 years less than the U.S. all races population (73.0 years to 78.5 years, respectively). Native Americans continue to die at higher rates than other Americans in many categories, including diabetes, unintentional injuries, assault/homicide or intentional self-harm/suicide.
Buongiorno a tutti.
Mi presento: sono Ambra Roggerini, una studentessa che ormai si appresta a terminare il suo percorso di studi al liceo linguistico e che appena ha sentito parlare con disprezzo di Silvia Romano, la ragazza liberata dopo un anno e mezzo di prigionia in Kenya. Ho deciso per questo di iniziare a difendere i diritti e i valori della nostra nazione e ho sentito il bisogno di “dire la mia”. Innanzitutto la libertà di religione è, fino a prova contraria, uno dei principi fondanti di tutti gli Stati democratici. Secondo l’articolo 19 della NOSTRA (visto che tutti ci sentiamo profondamente e culturalmente italiani) Costituzione, tutti hanno il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata. Alla luce del nostro “sentimento patriottico”, bisognerebbe dunque sempre affidarci alla Costituzione Italiana, ratificata nel 1947, vademecum dei diritti e dei doveri di ciascun cittadino italiano; una parola fondamentale è libertà sia di espressione, sia di pensiero; per questa cagione non mi sento nella posizione di giudicare una giovane ragazza: Silvia Romano, dopo essere stata liberata, ha deciso, “liberamente” o a causa della cosiddetta “sindrome di Stoccolma”, di convertirsi all’Islam. In merito alle accuse che le sono state mosse, tra cui quella di essere una “neo-terrorista”, è sicuramente necessario porre una netta distinzione tra i fanatici religiosi e il concetto di religione in quanto, come tutti ben sappiamo, sono due realtà ben distinte; ciò significa che l’essere religioso non necessariamente equivale ad essere un fanatico e viceversa. Impedire, ostacolare e giudicare la scelta di una giovane donna sarebbe dunque una violazione (nonché una decisiva perdita) dei fondamentali diritti umani, gli stessi per cui hanno lottato i patrioti più convinti. Personalmente ritengo che non sia il velo, la kippah, o una croce appesa con fervido onore al collo a fare di quel cittadino “una brava” o “una cattiva” persona. Ciò che ci distingue dagli animali è l’atto del pensare, tanto che Pascal definisce gli esseri umani “canne pensanti”, ed è bene che alla base di questi pensieri vi sia sempre rispetto reciproco. Facendo ciò, sarà più facile sentirci parte di un tutt’uno, o meglio, sentirci parte del Mondo; convinti di essere cittadini del Mondo, è quindi prezioso lottare per i medesimi valori, difendere le nostre ambite libertà e soprattutto aiutare l’altro, fondamento basilare della coscienza umana, nonché di tutte le religioni. La cosa da tenere a mente è che non c’è una religione più corretta di altre, non c’è limite a quell’amore che tutte le religioni proclamano, non c’è alcuna distinzione religiosa dovuta al colore della pelle; mi è sempre stato ripetuto che, anche se sulla Terra non sarà stato possibile, “davanti a Dio saremo tutti uguali”. Non vogliamo diventare un paese infernale che sulla porta d’entrata abbia la scritta: “lasciate ogni speranza o voi che entrate”, ma un Paese che, si spera al più presto, possa essere sempre più unito, rafforzato e arricchito di ideali e valori. “Fate non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza” (Dante - Divina Commedia). “A l’alta fantasia qui mancò possa; ma volgeva il mio disio e ’l velle, sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle”. Ciò che muove il Sole e l'altre Stelle, come si evince da questi versi finali del Paradiso, non è altro che l’amore, ovvero ciò che ci rende più vicini a qualsiasi Dio che esista o meno o ciò che, perlomeno, ci avvicina tra esseri umani. Vorrei concludere con una celeberrima frase di Bertolt Brecht che, a mio parere, pur essendo controcorrente, suggella questa situazione: “beato quel popolo che non ha bisogno di eroi”; anche in questa vicenda di liberazione non ci sono eroi e titani, ma più semplicemente esseri umani. Ambra Roggerini Dear readers, today I’m going to write about a widely discussed topic, that is gender intolerance. We live in the 20th century, we’re considered the so-called born digital generation, precisely the generation 3.0, however, as far as gender is concerned, differences are, apparently, still evident; how is this possible? It may probably be the demonstration that scientific progress and social progress aren’t kept in step with each other. This seems to be an unsolvable paradox of human beings, but, actually, we could change things.
To give an example of a feminist movement… who cannot think of the suffragettes? The suffragettes are the only protest movement in the history of Great Britain. This "movement" was founded in 1903 by Mrs Emmeline Pankhurst, who organised all the peaceful protests in order to achieve equal rights. As far as I could understand from the homonymous film, lots of women were several times arrested and even during their imprisonment, they kept on protesting with the hunger strikes. Thanks to them, women over 30 would gain the vote in 1918, whereas suffrage would be granted to women over 21 in 1928. Halfway around the world, I mean in Russia, a novel became a manifesto of women rights, Anna Karenina, which was published in 1877 by Lev Tolstoj. Last year I read it and some parts were even read in class in the original language. It was one of the best books I have ever read and I would surely recommend it to anyone, because, despite its tragic ending, it was really gripping going deep into the 19th century Russian society. Anna Karenina, the main character, took the arduous decision of abandoning her husband and her son in the name of love. For the first time, a women in Russia chose to be free from social conventions. Making a time jump forward in the present times, Chimamanda Ngozi Adichie is an important example of a Nigerian women, who has decided to fight for her rights claiming that «We should all be feminists» . First of all, it is not acceptable, that in these days, a women does not feel safe while she is walking alone in a park or somewhere, and, even worse, it is more shocking discovering that, when something happens to a woman, we have to hear some assertions, like “she was wearing a too short skirt, so she had it coming”. From my point of view, people who are strongly convinced of certain opinions should be regarded as criminals too. These people do not cause physical pain, but they verbally offend all women in the world. I am very disappointed when someone says to me that I could not become a surgeon just because a surgeon is expected to be a men and, believe it or not, there is someone who is still convinced about that. Will the future bring us any changes? I really hope so. The movement of the Suffragettes has taught us that things could change, especially now. As the Master of peaceful protests Mahatma Gandhi said: “Be the change you want to see in the world”. Anna Karenina, an example of female freedom, is not just a “book”, it is an explicit request to break away from social conventions, in order to feel our heart. The present times help us to comprehend the situation, to comprehend that there is still much to do, with the hope that, with efforts, things will get better! Ambra Roggerini Chimamanda Ngozi Adichie is a woman writer who was born and raised in Nigeria. She was well-educated. Adichie completed her secondary education in Nigeria, where she received several academic prizes. She studied medicine and pharmacy at the University for a year and a half. At the age of 19, Adichie left her country for the United States to study communications and political science at Drexel University in Philadelphia.
During her career she wrote about some stereotypes, which people in the world associate to reality. Being a feminist and she could not avoid written about the idea of “conditional female equality”, which she calls “Feminism Lite”. In fact she is very much against it. Feminism Lite uses analogies like “He is the head and you are the neck.” Or, “He is driving but you are in the front seat.” because they have the idea that men are naturally superior but should be expected to “treat women well”, but this isn’t a condition of equality. Moreover Feminism Lite uses the language of “allowing” but “Allow” is a troubling word. “Allow” is about power and a husband is not a headmaster while a wife is not a schoolgirl. A woman should “tell” her husband that she wants to work as engineer and not “ask” for permission. But here is the sad truth: our world is full of men and women who do not like powerful women. We have been so conditioned to think of power as male and that a powerful women is an aberration. When we think about women we imagine the shy girl, who spends time cooking, cleaning and caring for her children. Some parents teach their daughter to aspire to marriage and not to pursue a career, some parents educate their son to be “hard man” instead of being lovable and sometimes even emotional. In the world there are still many places, where the man makes decisions and has the power within the family while the woman has to follow the orders. We can think about the condition of arabic and North African women, who are very limited in their freedom. Can we tolerate this inequality, this state of things ? Should we remain indifferent ? Of course not, we should believe in the power of the voice of women. We should act and not only talk or read about these situations of inequality. We can’t tolerate them, we have to be intolerant. Giorgia Arizzi Nach der Berliner Konferenz im Jahr 1884/85 konnte das neue Kaiserreich Kolonien in Afrika verwalten, die Namibia, Kenya, Papua-Neuguinea, Mosambik und Ruanda waren.
Die deutsche Regierung war in ihren Kolonien nicht gerecht mit den Ureinwohnern: die Kolonialgesellschaft wurde tatsächlich in zwei verschiedene Gruppen geteilt. Diese Teilung der Gesellschaft wurde durch rassische Kriterien organisiert: die ''Weißen'', die aus Europa kamen und die eine starke und privilegierte Minderheit waren und die Eingeboren die keine Rechte hatten. Im Jahr 1914 wohnten zirka 22500 Deutschen in den Kolonie, dagegen waren die Eingeborenen rund 13 Millionen Menschen, die keine Rechten hatten, weil die deutsche Staatsangehörigkeit ihnen nicht gewährt wurde, obwohl sie im Reichsheer dienen mussten. Außerdem gab es eine weitere Differenzierung zwischen den Ureinwohnern, weil die Muslime einer speziellen Verordnung unterzogen wurden. Ein weiterer Fall von Diskriminierung war die Abschaffung im Jahr 1905 von dem Heirat zwischen den Weißen und den Eingeborenen. Die Deutsche Kolonialregierung war intolerant mit den Nativen, obwohl sie nicht so brutal wie die Kolonialregierung von Belgien in Kongo war. Mauro e Giuseppe Vor 30 Jahren fiel die Berliner Mauer und die Welt veränderte sich vollständig.
In den folgenden den Jahren haben sich die Mauern leider vermehrt. Als die Berliner Mauer fiel, gab es in der Welt 15 Mauern; heute gibt es 70 Mauern in der ganzen Welt und sieben weitere werden geplant. Eine Universität in Montreal hat eine Studie über die Mauern in der Welt durchgeführt und das Ergebnis ist schockierend: heute gibt es vierzigtausend Kilometer von Mauern in der Welt, diese Länge entspricht der Länge des Umfangs der Welt. Die bekanntesten Mauern trennen Mexiko und die Vereinigten Staaten und Israel und Palästina. Normalerweise baut man Mauern, weil es einen Krieg gibt oder weil es zu viele Migranten gibt, aber auch weil die Mauern Sicherheitsgefühl geben. Aus diesem Grund wurde zum Beispiel die erste Mauer im Jahr 1990 zwischen Mexiko und den Vereinigten Staaten gebaut. Damals war die Mauer 4 Meter hoch und heute will Donald Trump diese Mauer noch vergrößern. Die Mauer zwischen Israel und Palästina ist 730 Kilometer lang. Man hat die Mauer gebaut, um die Anschläge zwischen Palästinenser und Israeli zu blockieren. Alessia Schena Nel corso della storia della filosofia sono stati molti i pensatori che si sono occupati del vero significato del termine “tolleranza”; in particolare nell’opera “I saggi”, il filosofo francese Montaigne riflette riguardo all'atteggiamento dei conquistatori europei nei confronti degli abitanti dell’America centrale. Relativamente a ciò egli elabora il concetto di relativismo culturale secondo cui non esiste una cultura superiore alle altre e di conseguenza è necessario sviluppare un atteggiamento di rispetto nei confronti di ogni cultura. Montaigne sostiene che i popoli considerati dagli europei selvaggi siano quelli più autentici, semplici e veri in quanto non ancora corrotti dal progresso. Selvaggio assume, quindi, il significato positivo di naturale, intatto, non influenzato dalla civiltà. Queste popolazioni "diverse" per usi e costumi, appartengono comunque alla stessa natura umana. Il filosofo idealizza la vita selvaggia e afferma che noi, considerati più civilizzati, non abbiamo il diritto di giudicare le altre popolazioni in quanto, in assenza di un criterio razionale, veramente universale, dobbiamo accontentarci di riconoscere la relatività dei nostri punti di vista. Fondamentale secondo Montaigne è ragionare con la propria testa e non agire basandosi su ciò che la gente dice. Egli sostiene che non esiste alcuna differenza tra gli uomini, tra i diversi Paesi e continenti; ognuno ha le proprie tradizioni e costumi. Gli altri hanno avuto una storia diversa dalla nostra e questo li rende sotto alcuni aspetti differenti, ma è un diverso positivo, perché solo in questo modo siamo eterogenei; queste nostre usanze ci rendono unici e creano un mondo esclusivo con le sue diverse sfaccettature. Non esiste un governo perfetto, un’usanza perfetta o una decisione perfetta e di conseguenza non ha senso non tollerare basandosi sul proprio metro di giudizio, fondato sulla propria esperienza sociale e politica. Gli unici parametri corretti sono quelli della ragione e della verità, perché se per noi i selvaggi sono gli altri, per questi ultimi gli “altri”, i diversi, siamo noi, noi che pensiamo di essere quelli esemplari. Il concetto chiave sostenuto da Montaigne è che è insensato da parte nostra parlare di “selvaggio” proprio per lo stesso motivo per cui è insensato parlare di frutti selvatici, quando questi sono stati prodotti dalla natura e non sono stati alterati in alcun modo, mentre con questo aggettivo dovrebbero essere definite le virtù che noi stessi abbiamo modificato e adattato alla nostra corruzione. Per rendere l’argomento più semplice è possibile fare un esempio attuale: molte volte gli stranieri, soprattutto gli immigrati, vengono descritti come persone incivili, quando le differenze tra noi e loro sono concretamente poche, infatti alla base di questi pensieri c’è solo la convinzione di essere migliori di chiunque sia cresciuto in un luogo diverso rispetto al nostro, con una cultura e usi differenti, ma questo non determina un’effettiva inferiorità loro, come non sono sbagliate le nostre tradizioni rispetto alle loro. Come aveva già sottolineato Montaigne, infatti, non esiste una cultura o un governo più giusto di un altro, perché ciascuno ha ragioni storiche e politiche ben precise per esistere e sarebbe insensato parlare di migliori e peggiori quando i contesti e le vicissitudini alla base sono differenti.
Battaglia Giulia e Alessia Schena. L’avvento dei social networks ha radicalmente cambiato il mondo dell’informazione. Da un lato ha permesso la diffusione della cosiddetta controinformazione (cioè di informazioni che si ritengono taciute o riportate in modo parziale e non obiettivo dagli organi di informazione ufficiali) e del pensiero alternativo, dall’altro ha tuttavia intensificato la circolazione delle fake news. La rete non è infatti dotata di un sistema di controllo delle informazioni come gli altri media, per questo motivo la veicolazione di notizie false online è indubbiamente più semplice. In una situazione d’emergenza come quella attuale a causa della pandemia di CoVid-19, la disinformazione può però essere molto pericolosa.
Dall’inizio della diffusione del virus, sono aumentate esponenzialmente anche le false informazioni legate a questa complessa patologia. Una di quelle attualmente più diffuse è la teoria di un complotto che vede la rete 5g strettamente collegata se non addirittura causa dell’epidemia stessa. Col termine «rete 5g» si indica lo standard di quinta generazione delle comunicazioni, un nuovo sistema meno potente in termini di onde elettromagnetiche, ma che migliorerà comunque la qualità delle connessioni Internet e della telefonia mobile. Nei gruppi complottisti il 5g è invece considerato un pericolo per la salute, ma sono proprio gli studi dell’IARC (International Agency for Research on Cancer) a dimostrare che si tratta di radiofrequenze non dannose, perché non ionizzanti e quindi incapaci di colpire il DNA (al contrario,per esempio, delle sostanze radioattive). Questa fake news ha però fatto velocemente il giro del web, giungendo fino a Rosario Marcianò, noto complottista sanremese. Il 23 marzo 2020 la Polizia Postale si è trovata obbligata a porre sotto sequestro i canali social di Marcianò, poiché in un suo video del 19 marzo 2020, oggi rimosso, negava l’esistenza del coronavirus e invitava testualmente gli utenti a violare le disposizioni dettate per l’emergenza con l’obiettivo di destabilizzare il lavoro delle Forze dell’Ordine e dei tribunali. Ecco alcune delle sue dichiarazioni: «La situazione diventerà sempre più grave, sempre più ingestibile e per cui il mio invito non è quello di stare in casa ma è quello di fare di tutto per mettere in seria difficoltà questo esecutivo. Quindi, l’idea migliore sarebbe quella di uscire tutti per strada come facevamo prima in modo tale che poi Carabinieri e Polizia non sappiano più come fare per fermare tutti quanti e gli uffici giudiziari saranno intasati di denunce e non potranno più fare niente. Allora sì che loro saranno paralizzati.» A mio parere, il sequestro dei canali social del complottista è stato necessario, poiché quest’ultimo mirava a destabilizzare l’ordine pubblico, basandosi su fake news, in una situazione già estremamente critica. Tuttavia, secondo alcuni, è stata ingiusta la scelta della Polizia Postale di requisire a Marcianò gli account social, poiché si vuole vedere nella confisca una limitazione della libertà di espressione. Si apre così un complicato dibattito riguardo la libertà di manifestazione del proprio pensiero. Non è affatto semplice, infatti, stabilire fino a che punto si possano tollerare le notizie false e quando, invece, sia necessario intervenire limitando la disinformazione potenzialmente molto pericolosa. Il dibattito è particolarmente acceso in questo periodo, in quanto Andrea Martella, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha deciso di istituire una task force costituita da rappresentanti del Ministero della Salute, della Protezione Civile e dell’Agcom per combattere la disinformazione riguardo al CoVid-19. Martella spiega che una delle principali missioni della task force sarà quella di interfacciarsi con le principali piattaforme social per verificare quali azioni si stiano intraprendendo per contrastare la circolazione di false notizie. Inoltre, aggiunge, «dovrà essere rafforzato il ruolo della Polizia Postale per consentirle di individuare tempestivamente le cosiddette "fonti tossiche" e di interrompere la catena della loro diffusione nei social». Non sono tardate però le critiche verso questa ”unità anti-bufale” di coloro che credono che si tratti di un organismo che non rispetta le libertà costituzionali e che sia intollerante nei confronti di coloro che diffondono notizie non verificate riguardo al virus. Viene spontaneo però chiedersi se sia possibile essere tolleranti nei confronti di teorie che di scientifico non hanno nulla e che possono persino essere molto dannose. Non è sempre semplice darsi una risposta, ma ritengo che non si possa accettare la disinformazione che può persino sfociare in disordine pubblico. E’ evidente, dunque, che talvolta (soprattutto in un periodo di emergenza come quello attuale) non sia possibile essere tolleranti nei confronti di notizie false e nocive che non rappresentano tanto una manifestazione di libertà di opinione, quanto una fonte di pericolosa disinformazione. Valeria Zanotti „When I came back to my native country, after all the stories about Hitler, I couldn’t ride in the front of the bus. I had to go to the back door. I couldn’t live where I wanted. I wasn’t invited to shake hands with Hitler, but I wasn’t invited to the White House to shake hands with the President, either.“ -Jesse Owens Am 3. August 1936 hat Jesse Owens, ein Afroamerikaner aus dem Süden der USA, die Goldmedaille für die 100 Meter zu den Olympischen Spielen in Berlin gewonnen. Hitler dachte, dass die Afroamerikaner eine “primitive Rasse” waren: Sie hatten einen robusten und starken Körper, deshalb konnten sie schneller laufen. Aus diesem Grund war er nicht verärgert vom Gewinn des Afroamerikaners. Trotzdem ist es in die Geschichte eingegangen, dass das Talent von Jesse Owens Hitler geärgert hat und dass er sich nicht dem Athlet gratulierte. Tatsächlich gratulierte Hitler sich keinen fremden Athleten, er schüttelte nur deutschen Athleten die Hand. Dieses Verhalten war aber gegen die Regeln des Olympischen Komitees: Das gastgebende Land und sein Führer mussten neutral sein. Als Owens die 100 Meter gewann, hatte Hitler schon entschieden, keine Athleten zu grüßen. Am Ende der Olympischen Spielen sagte Owens, dass ihn Hitler vor der Preisverleihung grüßte und einige Tage später schickte ihm Hitler sein Porträt. Außerdem verteidigte Jesse Owens den Empfang, dass er in Deutschland bekam, weil Afroamerikaner in den USA noch nicht integriert waren. In der Tat wurde Owens nicht in das Weiße Haus von Roosevelt nicht eingeladen. Stefania Robecchi |